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Paraguay, tra i terroristi amici dei narcos

A Ciudad Del Este dove Hezbollah ricicla il denaro sporco dei trafficanti di droga

Oltre il ponte tra Foz do Iguaçu e il Paraguay si apre la zona franca di Ciudad Del Este. In pochi isolati grandi gallerie commerciali vendono prodotti di marca a prezzi irrisori. Le vie pullulano di cambiavalute e ambulanti che vendono merci contraffatte. Benvenuti nella capitale sudamericana del contrabbando frontaliero e del narcotraffico, per i quali l’organizzazione terrorista libanese di Hezbollah ricicla denaro sporco.

Washington ha colpito molti suoi finanziatori con sanzioni, ma con scarso effetto. Le loro attività coprono tutta la frontiera tra Brasile e Paraguay, complici istituzioni corrotte, forze di polizia con poche risorse, doganieri prezzolati e un vasto territorio poco popolato dove i traffici illeciti la fanno da padroni. A nord di Foz le sigarette prodotte dalla Tabesa, la manifatturiera del presidente paraguayano Horacio Cartes, sono contrabbandate sul fiume che separa i due Paesi. A ovest del fiume passano marijuana e cocaina lungo tutta la frontiera fino a Ponta Porã.

La polizia brasiliana è impegnata in una feroce lotta contro i narcotrafficanti. Si fermano i carichi ma non se ne arresta mai il flusso, sostenuto da società che consumano la droga per divertirsi, senza dar peso al devastante impatto di violenza e corruzione che il traffico ha su questi luoghi. E qui entra in gioco Hezbollah. La comunità libanese sciita qui conta 50.000 immigrati. Stanno principalmente tra Ciudad del Este e Foz dove hanno due scuole e due moschee. Nelle aule e sale di preghiera campeggiano foto dell’Imam Khomeini, il defunto leader della rivoluzione iraniana. I ragazzi sono indottrinati dal movimento degli scouts Al-Mahdi di Hezbollah e dagli imam dell’organizzazione. Ma i libanesi sono anche a Ponta Porã, varco della cocaina, dove la locale moschea ha documentati legami con Mohsen Rabbani, l’imam iraniano ricercato per la strage del 1994 contro il centro ebraico di Buenos Aires.

Il giro di denaro dei traffici illeciti alimenta la corruzione e la violenza che permettono a droga e sigarette di giungere ai loro consumatori. Hezbollah aiuta a riciclarne i proventi miliardari immettendoli nel sistema bancario internazionale grazie a una sofisticata rete dislocata lungo la frontiera, che include università private, grandi magazzini, cambiavalute e improbabili investimenti immobiliari di lusso in una delle zone più povere dell’America Latina.

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Gli strumenti del riciclaggio sono incongrui con la miseria del paesaggio circostante. Gli immensi centri commerciali della zona farebbero invidia ai nostri outlet. Tutto si trova a prezzi stracciati come le magliette Lacoste fatte in Perù che costano la metà che in Europa. Ma ci sono pochi clienti e per quanto bassi, i prezzi sono comunque fuori della portata dei più. Le autorità ritengono che gli outlet siano usati per riciclare denaro sporco dei narcos. A farla da padrone nei commerci sono i libanesi, attraverso le cui attività, sostiene il tesoro Usa, si riciclano miliardi, con una sostanziosa commissione per Hezbollah.

Non mancano gli indizi. Un’inchiesta per riciclaggio di un miliardo e duecento milioni di dollari implica un noto impresario libanese di Ciudad Del Este legato a Hezbollah, che nel 2015 accompagnò il presidente della Camera dei deputati del Paraguay in visita ufficiale in Libano. Il viaggio incluse incontri con clero e parlamentari di Hezbollah. Un progetto per un centro commerciale dove soci erano libanesi della zona e un barone locale della droga recentemente trucidato da una banda rivale. E numerosi casi di evasione fiscale, contraffazione di marche, e arresti in flagrante per droga che coinvolgono la comunità sciita locale. «Hezbollah controlla il Paraná», sostiene il capo di una stazione di polizia della zona, mentre il Primeiro Comando de la Capital, un’organizzazione criminale brasiliana, «controlla la frontiera secca». Il Pcc gestisce il servizio di trasporto dei traffici illeciti, Hezbollah offre i servizi finanziari. Una cosa è certa. In un Paese dove il Presidente produce le sigarette poi contrabbandate, si commerciano principalmente merci contraffatte, i politici si fanno ospitare dagli alti vertici di Hezbollah e l’economia di frontiera si fonda quasi esclusivamente sui traffici illeciti, è difficile credere che le autorità locali dispongano della volontà di cambiare le cose.

Articolo originale: www.lastampa.it

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