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La Cia presenta “Il territorio come destino”, il contributo degli agricoltori italiani alla “Carta di Milano”

A Roma, nella Biblioteca del Senato, la Confederazione chiude il ciclo di iniziative “ad hoc” con un documento “di idee” per la costruzione di un modello economico, sociale e produttivo sostenibile. Il presidente Scanavino: “Di fronte alle sfide del futuro, risulta determinante il valore multifunzionale del settore, che innesca processi sempre più integrati con l’ambiente, il turismo, la cultura, il welfare”.

Usare meno risorse per produrre di più con il supporto di ricerca e innovazione; accostare alle filiere dei grandi numeri reti “a maglie strette” adattate ai territori; rovesciare il rapporto città-campagna assumendo una dimensione “multideale”. Solo in Italia nei prossimi 10/15 anni le attività connesse all’agricoltura sposteranno oltre 40 miliardi con la prospettiva di garantire entro il 2020 più di 200 mila nuovi posti di lavoro.

Per arrivare a “nutrire il pianeta” di fronte alla competizione globale, agli scenari del cambiamento e alle sfide del futuro, la soluzione “non è un mondo senza agricoltori, un’agricoltura consegnata alle multinazionali alimentari, alle società finanziarie e ai fondi di investimento, ma un mondo con agricolture ‘plurali’ e con agricoltori più protagonisti, in grado di innescare processi più integrati con l’ambiente, il turismo, la cultura, il welfare, tra città e campagna, tra produttori e consumatori”. Con queste parole il presidente nazionale della Cia Dino Scanavino ha presentato, oggi a Roma nella Sala degli Atti parlamentari alla Biblioteca del Senato, “Il territorio come destino”, un documento di sintesi del ciclo di iniziative che la Confederazione ha portato avanti nell’ultimo anno quale contributo degli agricoltori italiani alla “Carta di Milano”, il manifesto programmatico che rappresenterà l’eredità “morale” di Expo 2015.

Da Mantova a Bologna, da Napoli a Firenze, passando per Campobasso, Urbino, Fontanafredda, Gallipoli e Orvieto, la Cia nei suoi incontri ha discusso dei punti di forza ma anche delle criticità del settore primario, ha analizzato i dati e ricercato con istituzioni e rappresentanti della politica e del mondo accademico e imprenditoriale spunti e riflessioni utili per “identificare i caratteri di un modello economico, sociale e produttivo a cui auspicabilmente riferirsi nel futuro -ha dichiarato Scanavino- valido non soltanto a livello italiano ed europeo, ma per altre aree del Pianeta”.

Quel che è venuto fuori è che, rispetto alle nuove sfide che si prospettano, ancora una volta si rivela determinante il valore multifunzionale dell’agricoltura che “oltre ad assicurare la produzione di alimenti, svolge un ruolo cruciale nella produzione di beni di pubblica utilità -si legge nel documento- come l’affermazione e la salvaguardia della qualità dei paesaggi, il mantenimento della biodiversità, la stabilità del clima e la capacità di mitigare disastri naturali quali inondazioni, siccità e incendi”. Ma soprattutto “la sfida enorme che si pone di fronte all’umanità e che soprattutto gli agricoltori del pianeta dovranno contribuire a vincere è quella di usare meno risorse, per produrre di più, garantendo la sicurezza alimentare mondiale” e in questa sfida “sarà imprescindibile il ruolo dell’innovazione e della ricerca per contrastare e gestire i cambiamenti climatici, per utilizzare tecniche produttive più sostenibili, diminuendo l’impatto delle proprie attività, preservando la qualità e la fertilità del suolo per le future generazioni e utilizzando al meglio le acque” e anche “per approfondire meglio (scientificamente ed eticamente) le conseguenze del ricorso alle modificazioni genetiche”.

Ma l’agricoltura non insegna solo questo: “L’Italia, con il suo diversificato territorio, le sue mille storie e culture, sfata sul piano produttivo l’idea che l’agricoltura legata alle filiere dei grandi numeri sia più produttiva di quella delle maglie strette. Infatti essa o è estensiva (modelli nord americani) con basse rese e grandi superfici o intensiva, con forti input chimico ed energetici (modelli europei sempre più insostenibili). Ma soprattutto le filiere dei grandi numeri, basati su modelli standardizzati che non sanno adattarsi ai territori -si legge nel documento della Cia- spesso creano marginalità e abbandono”. E’ chiaro, quindi, che “sempre di più, tutte le comunità dovranno presidiare con grande attenzione i propri equilibri attraverso filiere e reti ‘a maglie strette’ in cui l’afflusso delle grandi derrate alimentari e la presenza dei grandi mercati sia integrato con produzioni (alimentari e non) coerenti con la vocazione, l’identità e la gestione organizzata del territorio, la possibilità di usufruire dei suoi paesaggi, della sua storia, delle sue strade, delle sue attrazioni, delle sue energie. Questo è vero nelle regioni dell’Africa centrale, come in quelle delle grandi aree metropolitane orientali e statunitensi, come nelle nostre regioni europee, così cariche di culture”.

E ancora, di fronte alla sfida del cambiamento, “l’agricoltura deve rovesciare il tradizionale e (non più) subalterno rapporto città-campagna”, sottolinea il documento confederale, assumendo una “dimensione multideale in cui, al di là dei prodotti alimentari e dei servizi materiali e immateriali, si afferma la centralità e il contributo dei valori per costruire un diverso modello di sviluppo, di società, di relazione tra i cittadini che pone al centro di ogni proposta l’uomo e il suo territorio. Essa, cioè, si fa carico delle più ampie problematiche della contemporaneità, riorganizzando la capacità di produrre in modo sostenibile, di assicurare equamente il cibo ridandogli valore e affermandolo come diritto, contribuendo attivamente all’educazione alimentare quale presupposto per contrastare le diverse forme di spreco alimentare, di gestire capillarmente le risorse naturali, di impostare un nuovo welfare”.

Insomma, “non esiste un futuro senza agricoltura -ha detto il presidente della Cia-. Il nostro contributo alla Dichiarazione finale di Expo è calato in una realtà che ci dice già questo”. Solo in Italia infatti l’agricoltura e l’agroalimentare producono un fatturato vicino ai 300 miliardi l’anno. Sono oltre 20 mila gli agriturismi disseminati sul territorio e oltre 80 mila le aziende che sviluppano molteplici attività, dalla produzione di energie agli agri-nidi, dalle fattorie sociali e didattiche alla manutenzione delle aree verdi anche urbane. Già oggi questo “movimento” multifunzionale produce molto, ma ci sono ampi margini di crescita economica ed è ragionevole stimare che nei prossimi 10/15 anni le attività connesse all’agricoltura sposteranno più di 40 miliardi di euro l’anno con la prospettiva di garantire entro il 2020 tra i 200 mila e i 300 nuovi posti di lavoro. Quindi “alimentazione, salute, occupazione, sostenibilità, diritti universali, equità e coesione sociale -ha concluso Scanavino-. Questo è il contributo dell’agricoltura al futuro che vogliamo”.

Oltre al presidente Dino Scanavino, sono intervenuti all’iniziativa il vicepresidente vicario del Senato Valeria Fedeli; il presidente del Comitato scientifico di Expo 2015 Claudia Sorlini; il vicesindaco di Milano Ada Lucia De Cesaris e il professore Francesco Adornato dell’Università di Macerata.

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